martedì 27 settembre 2011

Recensione anime "Maison Ikkoku (Cara dolce Kyoko)" di Rumiko Takahashi

Recensione anime "Maison Ikkoku (Cara dolce Kyoko)" di Rumiko Takahashi




Dopo l'inverno nel cuore, la primavera.

Ho finito per la terza volta di guardare questo anime; sì, per la terza volta. Complice l'orario "pausa pranzo" della programmazione (l'anno scorso sul canale "Man-ga" di Sky, quest'anno su "Anime Gold" del digitale terrestre) la tentazione di guardarlo è stata troppo forte, pur conoscendo la storia a memoria e pur avendo letto il manga; e pensare che fino a un paio d'anni fa nemmeno lo conoscevo...
"Maison Ikkoku" ("Cara dolce Kyoko" in Italia) è una commovente storia sulla vita e sulla morte, ma soprattutto, sulla rinascita. 

Il protagonista della storia è Yusaku Godai, un ronin (ossia uno studente che deve ripetere l'esame d'ammissione all'università, tradotto nell'anime semplicemente col termine "matricola") squattrinato e sfortunato, tanto da essere oggetto di continuo scherno da parte dei tre inquilini della pensione Maison Ikkoku, ossia la pettegola signora Ichinose (col figlio Kentaro), la scostumata Akemi Roppongi e lo scroccone Yotsuya; se il povero Godai non riesce a prepararsi agli esami è anche a causa delle continue feste a suon di birra e sake che gli inquilini svolgono nella sua stanza, senza il suo consenso, ovviamente. Davanti all'ennesima nottata in bianco, Godai decide di lasciare definitivamente la Maison Ikkoku, ma quello stesso giorno (e in quell'esatto momento) incontra una ragazza con le valigie in attesa sull'uscio: il suo nome è Kyoko Otonashi ed è la nuova amministratrice; porta con sé un grosso cane dal nome Soichiro, nome che lei pronuncia in occasioni tali da far sembrare che ne sia innamorata, o che addirittura si tratti del suo compagno, ma la verità (rivelata dopo alcuni episodi) è che il cane porta il nome del suo padrone, Soichiro Otonashi, il marito di Kyoko. 
Godai, innamorato di Kyoko a prima vista, un giorno accompagna la ragazza e il vecchio Otonashi (suocero di Kyoko e proprietario della Maison Ikkoku) a visitare una tomba, ed è proprio in quell'occasione che scopre che Kyoko ha soli ventitré anni ed è vedova; Soichiro è morto per una malattia ad appena un anno dalle nozze. Così poco tempo insieme... ma la vita va avanti, pensa Godai, e prima o poi lei dovrà dimenticarlo per fare spazio a lui! 
Godai è di due anni più giovane della vedova, ancora ingenuo e immaturo per comprendere che in realtà Kyoko non dimenticherà mai Soichiro, men che meno così facilmente e in breve, ma ciò nonostante ci prova, specie all'inizio, ma in modo talmente impacciato da sembrare prepotente, specie perché si trata di continui tentativi per baciarla. Kyoko, però, è un tipino bello tosto, testardo e spesso aggressivo, che non esita a mollare un ceffone anche quando tale reazione, ehm, è un pelino esagerata! Vista la drammaticità della situazione, infatti, l'abile sensei Takahashi inserisce nella sua storia dell'ironia, portando lo spettatore ad assistere all'evoluzione del loro rapporto giorno dopo giorno, superando gli ostacoli uno alla volta come nella vita quotidiana.
Ma non è tutto qui.
La vita è caratterizzata da scelte, occasioni che dal momento in cui le cogliamo portano a delle conseguenze, ed è proprio ciò che accade a Kyoko quando decide, sotto consiglio della Signora Ichinose che la vede sempre in casa, d'iscriversi a una scuola di tennis; qui incontra lo "scapolo d'oro" Shun Mitaka, che un po' come il ricco Mendo che in "Urusei Yatsura (Lamù)" è rivale di Moroboshi, diventa il rivale di Godai nella conquista della bella Otonashi (precisamente, si tratta di amici/nemici). L'aitante giovane ha però un punto debole, la paura per i cani, per questo non riesce ad avvicinarsi più di tanto alla Maison Ikkoku, almeno fino a quando non trova il modo di superare questa sua fobia.
Nel contempo, però, anche Godai stesso complica le cose: a causa della sua mancanza di coraggio e costante indecisione, non chiarisce mai i suoi sentimenti con Kozue Nanao, una ragazza conosciuta grazie a uno dei suoi lavori part-time dove entrambi erano colleghi. Kozue è una ragazza molto ingenua, che fraintende i comportamenti di Godai aiutata dal fatto che lui si comporta sempre in modo molto gentile con lei per non farla soffrire, ma questo causa la gelosia di Kyoko; è infatti grazie alla sua presenza che capiamo come Kyoko provi qualcosa di più per Godai, altro che dovere d'amministratrice!
Oltre al triangolo Godai-Kyoko-Mitaka, vediamo quindi che l'intreccio si complica con la presenza di Kozue, cui si va ad aggiungere quella della prepotente studentessa Ibuki Yagami, che s'innamorerà di Godai durante il suo periodo di supplenza nella stessa scuola femminile in cui Kyoko s'innamorò di Soichiro (anch'egli era un professore), e la timidissima Asuna Kujo (che nel doppiaggio italiano è diventata Atsuko) appassionata di cani e la cui famiglia è tra i maggiori correntisti della banca dello zio di Mitaka, per cui egli realizzerà un matrimonio combinato senza l'approvazione del nipote (nonostante la fama da playboy, infatti, non vede altre che Kyoko).

La serie si compone di 96 episodi ed è abbastanza fedele al manga, a parte il grosso errore commesso nell'adattamento italiano a proposito del vero nome di Godai che è Yusaku: il protagonista è infatti chiamato per cognome (Godai) persino da quel vulcano di sua nonna e dagli stessi genitori; questa confusione deriva dalle forme di cortesia usate in Giappone che prevedono che oltre a dare del lei, ci si rivolga agli altri chiamandoli per cognome (per questo abbiamo Signora Ichinose, Signora Otonashi, e l'appellativo "Amministratrice" riferito a Kyoko), e se si segue attentamente l'anime capita anche di sentire che Godai sia chiamato col nome proprio da un professore (un paradosso), oppure come Yukari, che è il nome della nonna (no comment!). 
Poi ci sarebbe un'altra questione che può essere una sottigliezza per noi occidentali ma che ha un gran significato nel contesto giapponese: nel manga, Kyoko e Godai (continuo a chiamarlo così per non fare confusione) si danno del lei più o meno fino alla fine, infatti cominciano a darsi del tu solamente dopo che fanno chiarezza sui propri sentimenti e diventano più intimi; è un fatto di rillievo, specie se consideriammo che la storia si sviluppa in ben cinque anni e questi continuano a trattarsi come degli estranei nonostante tutto quello che succede!

A parte queste due cose che dipendono dalla traduzione italiana, qualche piccola differenza tra anime e manga c'è, e siccome mi piace fare queste ricerche, comincerò ad elencarle.

Nella storia svolgono un ruolo piuttosto importante anche i genitori di Kyoko, col padre geloso che si era opposto al matrimonio con Soichiro e che, visto com'è finita, non vede di buon occhio nemmeno ora una nuova unione, anzi, preferirebbe che la figlia tornasse a vivere con loro, mentre la madre, già a un anno dalla scomparsa di Soichiro, desidera che Kyoko si sistemi con un altro uomo, e in questo è veramente molto insistente (in tali occasioni emerge il lato più duro e testardo di Kyoko; è una lotta all'indipendenza, la sua, anche considerando il lavoro che svolge alla Maison Ikkoku, anche questo non approvato dai genitori perché la vedono continuare a stare legata alla famiglia Otonashi). Ebbene, proprio la madre, incontra Mitaka nel volume 6 del manga, con largo anticipo rispetto all'anime e in maniera diversa, poiché nell'anime l'incontro avviene quando Kyoko e le famiglie Otonashi e Chigusa si riuniscono davanti alla tomba di Soichiro per l'anniversario della morte; ai fini dello sviluppo della storia non è che sia di per sé una grossa differenza, ma con questo fatto, dove la madre conosce anche Godai ed egli passa addirittura un bel po' di tempo col padre di Kyoko, si rafforza come il ragazzo non sia minimamente preso in considerazione dalla famiglia Chigusa, specie considerato che anche verso la fine non ricordano nemmeno il suo nome: lo chiamano ancora matricola (se lo ricordano giusto per gl'insuccessi, poverino)!
In più, nel corso di un altro incontro tra la madre di Kyoko e Mitaka (con Godai sempre nel mezzo!) si arriva a parlare di figli, oltre che di matrimonio, e ne nasce un capitolo molto carino dove infine emerge il desiderio di maternità di Kyoko, desiderio che trova un breve accenno anche nell'anime nell'episodio dei due bambini lasciati in custodia a Godai da una delle ragazze del Cabalet (locale notturno dove lavorerà, anche qui, part-time).
La maternità di Kyoko ha comunque il suo piccolo spazio in un'altra occasione: pochi fotogrammi, ma tra i più importanti.
Uno dei motivi per cui preferisco il manga, è che nell'anime è riservato troppo spazio alla studentessa Yagami, personaggio che non sopporto. Un'ulteriore piccola differenza, infatti, è che nella prima parte dell'anime sono stati omessi alcuni capitoli del manga, e tali capitoli sono stati riportati successivamente
aggiungendo l'insolente Yagami perché entrata a far parte del cast (in realtà la sua è solo una parentesi, seppur determinante per il rapporto tra Kyoko e Godai, in particolare per "smuovere" la signora Otonashi). Ad esempio, nel manga Yagami entra a far parte, per un brevissimo tempo, delle "conigliette" del Cabalet, oppure ancora, nell'episodio della partita di baseball, sostituisce la nipote di Kyoko, la piccola Ikkuko, e si aggiunge anche Kozue, quando in realtà l'incontro tra le due contendenti avviene nell'appartamento di Godai (e rimangono ugualmente interdette dalla reciproca presenza). 
Più che Yagami, infatti, c'è da dire che il manga riserva qualche capitolo in più al rapporto tra Kozue e Godai, ad esempio, capita più volte che Godai tenti di baciarla tanto per provare (è alla prima esperienza), e poi c'è un capitolo sui fiori "non ti scordar di me", significativo per far riflettere Kyoko sui sentimenti di Godai per Kozue; possiamo però notare che nell'anime c'è sempre un vaso di "non ti scordar di me" nella stanza dell'amministratrice.
Tra gli esclusi dall'anime, risalta subito la mancanza del quarto inquilino che occupa la stanza numero tre della Maison Ikkoku, ossia Nikaido Nozomu, un ragazzino che entra a far parte della combriccola dal quattordicesimo volume in poi (su 27 totali); al suo posto nell'anime vediamo alloggiare per un brevissimo tempo e nella stessa stanza, un uomo di mezza età anche lui vedovo, per cui Kyoko proverà una forte simpatia dovuta al fatto che le ricorda il marito.
Nell'anime manca anche la ragazza con gli occhiali che Godai incontra quando va in campeggio (Godai parte dopo l'ennesimo litigio con Kyoko, avvenuto in piscina; i due fuggono spesso pur di non affrontarsi, ma così non riescono mai a chiarirsi), e la cugina di Godai, Akira, che appare nel manga per due capitoli quando lui finisce all'ospedale per via di una frattura alla gamba (molte volte vedremo come la Maison Ikkoku necessiti di una ristrutturazione...).

Le mancanze dell'anime che si fanno più sentire, però, riguardano un paio di episodi di Kyoko e Godai.
Il primo è, incredibile ma vero, il primo bacio tra i due, che avviene in maniera accidentale (o almeno così sembra) dopo che il bacio di un'Akemi ubriaca (bacia tutti e due!) ha scatenato in entrambi sogni agitati e il desiderio improvviso di riceverne un'altro dalla persona cui sono interessati (forse è più che altro "bisogno", nel caso della gliovane vedova), cosa che poi inaspettatamente si realizza. Nell'anime, questo capitolo è stato completamente trasformato in un episodio concentrato sulla vita sentimentale di Akemi dal titolo "Fine di un amore"; niente attrazioni fatali né baci, purtoppo.
L'altro episodio "incriminato" è il 92: "La dichiarazione". Dopo che Godai insegue Kyoko fino alla metropolitana e si ritrovano in un viale alberato dove infine lui si dichiara con dolci parole d'amore,
inspiegabilmente, nella scena successiva vediamo che Kyoko è tornata alla Maison Ikkoku mentre Godai è tornato a lavorare al Cabalet; ebbene, manca una scena! Anzi, un episodio. Prima di tutto, Godai e Kyoko non si ritrovano in un viale alberato bensì in una via davanti a un "love hotel" (albergo a ore), e Godai, invece di fare quella dichiarazione romantica, esasperato dall'atteggiamento di lei fa una dichiarazione molto più esplicita, e lo fa gridando! Poi si rende conto di ciò che si è lasciato sfuggire ed è pronto ad andarsene, ma lei gli afferra la manica del giacchetto e, sorpresa, acconsente. Entrano quindi in una stanza d'albergo, entrambi imbarazzati e incapaci di proferir parola, se non una, precisamente un nome, che anche se riferito all'omonimo cane, finisce con il compromettere la situazione; nella loro unione c'è ancora, pesante, l'ombra di Soichiro, e Godai non riesce a rilassarsi. Sicuramente è meno romantico, ma è senz'alto anche più realistico perché non dimentica di considerare ciò che rappresenta Soichiro per Kyoko, ma anche cosa rappresenta per Godai, infatti non sono poche le occasioni in cui emerge come il ragazzo tema di non essere all'altezza, pensando più a sostituire il defunto marito invece di sperare che lei lo accetti così com'è.
"Maison Ikkoku" è una storia di rinascita, ma anche la rivincita dei "falliti", con Godai e la sua lotta, non solo alla conquista di Kyoko, ma per trovare il suo posto nella società, prima con l'ammissione all'università, poi con la ricerca di un lavoro stabile che gli consenta la tanto sudata indipendenza economica; anche in questo la serie è piuttosto realistica, e tratta anche il tema della "raccomandazione", poiché nelle grandi aziende del Giappone non è possibile entrare se non si hanno conoscenze.

Riguardo all'aspetto tecnico, la serie ha visto succedersi due doppiaggi diversi; personalmente preferisco il primo cast con la voce di Monica Ward a interpretare Kyoko, e Alessio Cigliano per Godai (stesso discorso per Mitaka e Akemi), senza contare che, a discapito del secondo cast, c'è anche il fatto che molto spesso non si sentono le parole, e talvolta l'interprete di Kyoko parla con tono talmente basso e dimesso che devo alzare il volume per capire cosa dice!
Ottime, invece, le tante sigle (giapponesi) e le musiche, tanto che quando leggo il manga mi capita di sentirne la mancanza, o addirittura di ricordare la melodia che si sente nell'anime in quella determinata situazione, perché ogni situazione è associata a un brano, ad esempio quando Kyoko ricorda Soichiro... comunque, in generale sono tutte melodie toccanti, a parte quelle più gioiose dei bambini mentre giocano, del ritmato jingle bells, del lugubre motivo dello strano Yotsuya... insomma, l'anime ha una colonna sonora splendida che lascia il segno, come quest'indimenticabile storia che, una volta finita, non riesco a fare a meno di sentirne già la mancanza, anche se è la terza volta che la riguardo.



Non ho resistito, ho dovuto almeno inserire la prima opening, col testo tradotto in italiano *.*

giovedì 22 settembre 2011

Recensione anime "Lamù la ragazza dello spazio (Urusei Yatsura)" di Rumiko Takahashi

Recensione anime "Lamù la ragazza dello spazio (Urusei Yatsura)" di Rumiko Takahashi









 
Quando la fantasia è al servizio della risata

Sono mesi che durante la pausa pranzo mi sintonizzo su “Anime Gold” (canale 285 del digitale terrestre) per guardare “Lamù la ragazza dello spazio”; venerdì scorso c’è stata l’ultima puntata, di conseguenza, eccomi a scrivere la recensione.
Come tutte le serie di Rumiko Takahashi, anche Lamù è longeva, infatti conta ben 218 episodi di pura ilarità, dove si mostrano situazioni, eventi, ma anche persone, esageratamente assurde, non a caso il titolo originale “Urusei Yatsura” lo si potrebbe tradurre con “gente fastidiosa” (oltre al gioco di parole dato da “urusei” che nel carattere kanji può essere tradotto come “stella/pianeta Uru” - sebbene il nome del pianeta di Lamù sia Oniboshi, ossia il pianeta degli Oni -); normalmente una definizione del genere non andrebbe a favore dell’opera, ma questa serie è una parodia della società moderna e del folklore giapponese (spesso i personaggi incontreranno miti e leggende, in altri casi saranno gli stessi protagonisti a interpretare gli eroi della storia), ma ciò che la rende così amata è senza dubbio la bellissima Lamù, che dalla sua prima apparizione nel 1981 (1983 in Italia) è ancora oggi una delle maggiori icone dell’animazione giapponese.

La storia comincia presentando Ataru Moroboshi, un liceale vagabondo, stupido, e pure sfortunato, che tra i suoi passatempi preferiti ha quello di correre dietro alle belle ragazze (qualsiasi, per intenderci) importunandole in maniera ossessiva, questo nonostante sia fidanzato con una romantica ragazza, acqua e sapone, di nome Shinobu.
Un giorno (parliamo dell’anime perché nel manga è leggermente diverso), Ataru viene prelevato dalle autorità giapponesi in quanto scelto per affrontare la sfida che determinerà il destino della Terra: gli Oni, infatti, vogliono invadere il nostro pianeta, ma hanno concesso una possibilità di scampo nel caso in cui Ataru, il rappresentante della nostra razza, riesca ad afferrare, entro dieci giorni, le corna della figlia del capo degli Oni, Lamù, una sexy ragazza-orco vestita solo di un bikini tigrato. Desideroso di approfittare della situazione, durante la sfida Ataru si getta a capofitto più volte senza arrivare minimamente a toccarla,
complice la capacità di volare dell’aliena. Per motivarlo, Shinobu promette ad Ataru che lo sposerà in caso di vittoria,quindi il ragazzo s’ingegna e strappa via il reggiseno a Lamù, che impegnata a coprirsi non riesce a sfuggire ad Ataru, il quale riesce finalmente nell’impresa. Vittorioso esclama: “io voglio sposarti!”, frase che Lamù pensa sia rivolta a lei quando in realtà era per Shinobu, ma tutti lo hanno sentito, persino la troupe televisiva che è pronta a testimoniare, ma quel che è peggio, è che Lamù spiega che nel suo pianeta la promessa di matrimonio è estremamente vincolante, il che significa che diventa automaticamente sua moglie. Intuendo l’indole del ragazzo, Lamù gli mostra, inoltre, cosa gli accadrà se oserà tradirla: lo tempesta con delle scariche elettriche!

Questa reazione di Lamù nei confronti di Moroboshi è solo la prima di una lunga serie, tanto che il playboy finirà per trattarla male e detestarla, ma, paradossalmente, anche ad amarla. Nelle rare occasioni in cui la ragazza decide di tornare al suo ufo per un po’, o quando la vita della bella Oni è in pericolo, Ataru si rivela essere il più appassionato degli innamorati, per questo Lamù gli resta sempre accanto, fiduciosa nei veri sentimenti che, sotto sotto, il ragazzo prova per lei.
Un rapporto controverso come quello di Ataru e Lamù non l’ho visto trattare in nessun’altra opera; spesso mi sono chiesta come facesse Lamù a sopportarlo e perché continuasse a stargli dietro visto che il più delle volte si comporta come un bastardo senza cuore (e ho addolcito la definizione). Le volte in cui dimostra di volerle bene non sono sufficienti a coprire quelle in cui la tratta male, ma Ataru è così, o lo si ama o lo si odia; per chi ha a cuore Lamù, anche solo pensare di poter “amare” Moroboshi è una parola grossa, quindi diciamo piuttosto che occorre imparare ad accettarlo così com’è, inoltre, ci pensano gli altri personaggi a dargli una lezione quando serve, sebbene in maniera esagerata, ma il concetto di esagerazione fa parte del gioco dell’opera.


Tra i paladini difensori di Lamù ci sono i suoi fan, nonché compagni di scuola, Megane, Chibi, Perma e Kakugari; nel manga appaiano solamente all’inizio, ma nell’anime sono costantemente presenti, addirittura sono protagonisti di interi episodi, specialmente Megane, ossessinato da Lamù tanto d’avere dei suoi poster in camera. Coloro che si preoccupano del modo in cui è trattata Lamù sono infatti dei ragazzi che hanno un
debole per lei, tra questi, c’è anche Shutaru Mendo, un galante erede della Mendo Conglomerate, perciò il ragazzo più ricco del Giappone. Tronfio di sé e del suo aspetto, Shutaru fatica a credere che Lamù sia interessata a un tipo inetto e bruttarello come Ataru, e si tratta di un’antipatia reciproca, poiché i due entrano costantemente in competizione: i siparietti che vedono Ataru e Shutaru scontrarsi (Ataru blocca la katana di Shutaru semplicemente a mani nude) sono presenti in ogni episodio, scatenati da qualsiasi pretesto, inclusa la corte (anche qui) verso qualunque ragazza. Ciò dimostra come i due siano simili nonostante le apparenze, non a caso sono entrambi attratti anche dalla dottoressa (shintoista ed esorcista) Sakura, più grande di loro e nipote del monaco Sakurambo. Una cotta per l’affascinante donna la prova anche il piccolo Ten, dispettoso cugino di Lamù, nonché l’altro personaggio con cui Moroboshi è in continua lotta (frequenti le scene in cui Ten soffia del fuoco su Ataru e questi si difende a colpi di “padellate”).

L’intreccio tra questi personaggi dovrebbe già creare sufficiente scompiglio, specie all’inizio con il triangolo amoroso tra Lamù, Ataru e Shinobu, che poi vede quest’ultima stufarsi dell’indecisione di Ataru e innamorarsi di Mendo, che non è poi tanto diverso dall’altro poiché appunto guarda Sakura, che a sua volta non ha interesse per nessuno in quanto è fidanzata con Tsubame (un mago che pratica magia nera) che è un ragazzo di così poco carattere che Sakurambo si oppone al fidanzamento (e qui zio e nipote lottano invocando degli spiriti), insomma, ce ne sarebbe abbastanza, invece l’autrice aggiunge la complessa vicenda 
di Ryunosuke e suo padre: la ragazza, orfana di madre, è stata educata fin dall’infanzia come un figlio maschio, e il padre nega tuttora la sua evidente femminilità, costringendola a vestirsi da uomo, a nascondere il seno sotto delle fasciature, senza contare che molto spesso approfitta della sua buona volontà per farle svolgere i lavori più pesanti (forza che le deriva dai duri allenamenti delle arti marziali), il che sfocia inevitabilmente con dei litigi, che vanno da semplice zuffe a vere e proprie battaglie. Personalmente, la lotta di Ryunosuke per la propria indipendenza e femminilità fa parte degli episodi che mi hanno appassionato di più, al di là dei divertenti equivoci che nascono a causa del suo mascolino modo di porsi (conquista più ragazze di Mendo e Ataru!). Purtroppo, come tutte le storie racchiuse in quest’anime, non si viene a capo della vicenda, e non si può fare affidamento sulle sporadiche giustificazioni del padre poiché si rivelano essere per lo più menzogne, anche se ho ipotizzato che questi suoi comportamenti derivino dal fatto che Ryunosuke assomigli molto alla madre, e il padre soffre talmente la sua mancanza che non può sopportare di vederla riflessa nel volto della ragazza...


Poco fa ho accennato che Lamù racchiude tante storie, infatti penso che sia l’opera della sensei Takahashi più ricca di personaggi. Persino i genitori di Ataru e di Lamù, oltre ai familiari di Shutaru (in particolare la
bizzarra sorella Ryoko, che mette costantemente in pericolo il fratello) hanno un proprio spazio negli episodi, ma la maggior parte del tempo lo scenario è quello della scuola di Tomobiki, cui si vanno ad aggiungere, oltre ai personaggi prima elencati, lo stravagante Preside che improvvisa feste e recite (oltre che a passare le giornate in compagnia del gatto Kotatsu) e il Professor Onsen, la vittima preferita degli scherzi dei liceali (anche lui innamorato della dottoressa Sakura). Spesso vediamo anche le amiche aliene di 
Lamù,ossia la grintosa Benten, la fredda regina delle nevi del pianeta Nottuno, Oyuki, e la dolce-finchénon-si-arrabbia Ran.

Ecco, anche gli episodi che vedono protagoniste Ran e Lamù sono tra i miei preferiti, perché la ragazza dai capelli rosa ha un caratterino particolare: Ran si mostra amica di Lamù quando in realtà ha un grande rancore nei suoi confronti, e non solo perché fu l’unica vittima nelle marachelle di quand’erano bambine, ma
soprattutto perché innamorata di Rei, il bellissimo ex-fidanzato di Lamù, che essendo ancora perso per Lamù, non riesce ad accorgersi delle attenzioni di Ran. La ragazza, intanto, si da un gran daffare a preparargli prelibatezze d’ogni tipo, infatti il punto debole di Rei è l’appetito insaziabile: dietro l’affascinante ragazzo si nasconde un Oni gigante e grottesco!La presenza di Rei è per Lamù un’ulteriore occasione di far ingelosire Ataru, nonostante lei non faccia nulla per motivare i sentimenti dell’Oni specie per non suscitare la già collerica Ran, e l’”amica”, intanto, medita di vendicarsi cercando di sedurre Ataru.
Ulteriore divertimento si presenta quando Ran si cimenta in strane invenzioni, del resto, come quando Lamù porta degli oggetti dal suo pianeta.


Altri personaggi degni di nota sono: la principessa Kurama che ha bisogno di un uomo per il proseguimento della sua specie (è un pianeta 
governato dai tengu, figure mitologiche simili a corvi); le tre ragazzine aliene Sugar, Ginger e Pepper, in competizione con Lamù, Oyuki, Benten e Ran per diventare le delinquenti più temibili delle galassie; il bambino alieno amico di Ten Kintaro, che cavalca un orso; l’aggressivo gatto nemico di Ten, Torajima; la madre di Ten che è una vigilessa del fuoco, inconsapevole che il figlio è un incendiario; il capo della banda dei teppisti della scuola rivale a Tomobiki, Soban, il quale è innamorato di Shinobu e capita dal nulla per inseguirla, lasciando un polverone dietro di sé; infine, la dolce volpe Kitsune, anche lei cotta di Shinobu perché le ha salvato la vita, un personaggio che regalerà momenti magici e romantici agli spettatori.

Se la vicenda di Ryunosuke e il padre può sollevare dibattiti sull’identità sessuale, un’altra vena di malizia si presenta con i personaggi di Tobimaro e Asuka, rispettivamente, fratello e sorella. Sebbene siano
personaggi che appaiono molto tardi nell’anime, non si riesce a ignorare la situazione che portano, e non di certo per i rapporti che questa famiglia ha con quella di Mendo (il che è solo un pretesto per presentarli), quanto per il fatto che non si nasconde che Asuka sia innamorata del fratello. Ma c’è una spiegazione logica: la ragazza è cresciuta secondo la  tradizione della famiglia, ossia ha vissuto come in clausura, isolata dal resto del mondo, e lontana dal sesso opposto, ciò però l’ha resa fragile e vulnerabile, tanto che esce di casa solo con una possente armatura, se poi durante una delle sue prime uscite s’imbatte in quel viscido di Ataru, allora si riesce a comprendere facilmente perché scappi dai ragazzi urlando e distruggendo tutto ciò che incontra (è inconsapevole della grande forza fisica che possiede). L’unico di cui Asuka si fida è il fratello Tobimaro, infatti è l’unico ragazzo che si mostra dolce e paziente anche se gli abbracci della sorella gli costano ossa e vertebre rotte, solo che Asuka, sempre per colpa dell’isolamento, non conosce il concetto di “fratello”...

Dopo questo lungo elenco di personaggi e situazioni, torniamo specificatamente all’anime.
Per quanto riguarda l’Italia, i primi 23 episodi sono stati divisi ognuno in due episodi distinti da dieci minuti circa, scelta che è stata fortunatamente abbandonata dal ventiquattresimo episodio in poi, infatti questi durano circa venticinque minuti l’uno. La trasmissione dell’anime è divisa in tre blocchi, e in Italia sono stati dati i seguenti titoli: “Lamù la ragazza dello spazio” dall’episodio 1 al 109, “Superlamù” dal 110 al 152, e “Le nuove avventure di Lamù” (dal 153 al 218). Dalle diverse trasmissioni ne consegue che ci sono stati diversi doppiaggi: in particolare mi ha colpito la seconda voce di Megane che ha caratterizzato il personaggio con la balbuzia; peccato che questa caratteristica si vada a perdere con il cambio di doppiatori.
Le sigle sono allegre e rendono bene l’atmosfera, anche se trovo che siano meglio quelle cantate in giapponese, piuttosto che quelle completamente in inglese che risentono dell’influenza dell’America degli anni ’80 (accompagnate da immagini quali la macchina decapottabile, i murales e il juke box). Esistono anche due sigle italiane, una molto vecchia per cui non si conosce il titolo né il cantante:


e la più recente “Mi hai rapito il cuore” di Stefano Bersola


non sono state inserite nella trasmissione ma sono presenti negli extra dei cofanetti DVD.
Riguardo all’aspetto tecnico, c’è anche da dire che i disegni migliorano col tempo: si passa dai lineamenti un po’ da caricatura dei primissimi episodi a forme più definite che donano ai personaggi l’aspetto che ormai ben conosciamo.
Fortunatamente la serie non è stata oggetto di censura perché trasmessa da reti private, ma rispetto al manga, l’anime presenta dei limiti dovuti al fatto che gli episodi non seguono l’ordine dei capitoli e sono per la maggior parte inconcludenti, in più sono stati aggiunti degli episodi originali che un po’ stravolgono personaggi e situazioni. Come sempre, il manga è più completo, e in questo caso anche dal punto di vista delle spiegazioni di alcune leggende e luoghi comuni; per chi interessasse, il manga è edito dalla Star Comics in 48 volumi. Si tratta comunque di una buona serie, scacciapensieri e già irresistibile coi soli personaggi,
talmente sono carismatici. Sfido chiunque a non citare al termine di ogni puntata quel: “tesoruccio!”
Il finale è di quelli che non finisce (in linea con la serie, appunto), dove si coglie l’occasione di una festa (il titolo dell’episodio è infatti “Festa d’addio”) per celebrare e riunire tutti i personaggi, ognuno con il proprio tormento(ne). Giusto Sakura ha una felice conclusione, per il resto si rimanda agli OAV e al manga, perché dopo così tanti episodi, la mancanza di questi chiassosi personaggi si fa proprio sentire. 


--- Questa recensione è anche su TrueFantasy: rubrica Jappo W! ^^ ---



sabato 17 settembre 2011

Recensione "La leggenda di Huma (Dragonlance - Gli eroi vol. I)" di Richard A. Knaak (Armenia)




Titolo: La leggenda di Huma (Dragonlance - Gli eroi vol. I)
Autore: Richard A. Knaak
Editore: Armenia
Collana: Fantasy Super Pocket
Genere: Fantasy
Data di uscita: 24 maggio 2007
Formato: cartaceo
Pagine: 409
ISBN: 978-8834419892
Prezzo: € 6,50
Link per l'acquisto: amazon


Sinossi:
Sul dorso del drago argentato, Huma si dirige verso la Torre del Sommo Chierico, sorvolando la landa desolata dove i morti vagano ripetendo in una macabra cantilena, i nomi di crudeli draghi distruttori. Qui si racconta la storia di Huma, delle sue misteriose origini, della solenne cerimonia in cui prestò giuramento al Codice e alla Misura, del suo amore per il drago argentato e dei suoi perigliosi combattimenti con i subdoli Cavalieri di Solamnia, culminati nella fatidica resa dei conti fra Takhisis, Regina delle Tenebre, e Paladine.




L'onore e i valori degli eroi

"La leggenda di Huma" è il primo libro della trilogia "Gli eroi Vol. I" della serie Dragonlance, romanzi fantasy ispirati al gioco di ruolo Dungeons & Dragons.
Lo dico chiaramente: in realtà non ho mai giocato, né letto gli altri romanzi della serie, ma chi mi conosce ormai sa che non so resistere quando leggo la parola "drago", e se ho acquistato questo libro in particolare è perché la quarta di copertina parla di un cavaliere, Huma appunto, che tra la scoperta delle proprie origini e la lotta contro le forze del male rappresentate dalla Regina dei Draghi Takhisis, viaggia sul dorso del suo drago d'argento, per il quale nutre un sentimento d'amore! Tralasciando il fatto che dalla premessa avevo confuso Huma con una donna, e di conseguenza non immaginavo che il drago in questione fosse femmina, il tema m'interessava particolarmente perché mi riguarda da vicino... ma questa non è la sede né il momento adatto per svelare il mistero (per la cronaca: non ho una relazione con un drago... forse ^.^). A dispetto delle aspettative, però, questo amore insolito non è il nucleo della storia, piuttosto lo sono le imprese di Huma, inoltre, non si può dire che l'eroe nutra un sentimento così profondo per il drago, poiché sentimenti di tale portata li riserva a una misteriosa e bellissima ragazza dai capelli d'argento di nome Gwyneth. Per il lettore è facile fare "uno più uno" e rendersi conto di come la quarta di copertina contenga uno spoiler (l'amore tra il drago e l'umano emerge addirittura sul finale), senza contare che, ripeto, per la maggior parte del romanzo si assiste a eventi di tutt'altra natura, poiché verrà riservata solo qualche sporadica scena ai due innamorati e al tormento interiore di Gwyneth; per questo, il coinvolgimento emotivo per la situazione non è stato forte come mi aspettavo, direi anzi, un po' freddo.

Mi ha invece colpito il rapporto che si crea tra Huma e Kaz il minotauro. Quest'ultimo è un personaggio che è stato ben caratterizzato, inoltre è uno dei personaggi più importanti, in quanto porta con sé il tema della fedeltà e dell'onore, ma soprattutto del rispetto e dell'anti-razzismo: Huma incontra Kaz in circostanze estreme e lo salva dalle forze del male; pur essendo anche il minotauro stesso una creatura non proprio benigna, Kaz manifesta subito d'essere un rivoluzionario, poiché vuole ribellarsi agli orchi che trattano quelli della sua razza come degli schiavi, e complice il debito verso Huma, egli decide di seguirlo e appoggiare la sua causa, aiutandolo a liberare Krynn dall'eterna lotta contro la Regina dei Draghi. Ma quando guardano Kaz, gli umani e i Cavalieri di Solamnia vedono un nemico; complici le continue battaglie, gli omicidi, la fame, la miseria e le pestilenze, Kaz non si può certo aspettare un clima aperto e di comprensione, e dal canto suo, Huma cerca di rendere possibile una collaborazione e convivenza tra le parti, sperando che non si attacchino a vicenda visto il temperamento aggressivo del minotauro. Kaz è anche particolarmente estroverso quando si tratta di dichiarare le proprie emozioni, il che lo rende anche simpatico e buffo.

Altri personaggi importanti sono: l'amico d'infanzia che ha preso la strada della magia, ossia l'enigmatico Magius; il cavaliere impassibile a cui Huma è molto legato, Rennard; il Grande Guerriero Lord Oswal e l'antipatico/arrivista figlio e cavaliere Bennet; infine il cavaliere che Huma considera come un padre ed è zio di Bennet, Trake. Questi personaggi sono al centro di tradimenti e doppi giochi, sono assassini e vittime, in quello che si rivelerà essere un crudele gioco di sentimenti, poiché sono tutti personaggi emotivamente legati tra loro (e il protagonista).
La ricerca della verità spingerà a continuare la lettura nonostante si faccia poco scorrevole e a tratti pesante, ma c'è di positivo che l'autore non trascura niente, nemmeno i dettagli apparentemente irrilevanti, quali i bisogni primari dei protagonisti e ogni singola sensazione che provano in determinate situazioni.

La parte che mi è piaciuta di più, è quando Huma si trova ad affrontare delle prove nelle Montagne, altissime e misteriose, e anche qui si tratta di prove emotive, oltre che di fisiche. Spettacolare, poi, quando entrano in scena le Dragonlance e il loro potere divino, per non parlare della visione di Paladine e il drago di platino; sono immagini fantastiche, epiche.

Di epico c'è anche il finale, dove nella resa dei conti si riflette sul concetto d'equilibrio tra bene e male, ma soprattutto nell'epilogo, dove emerge un'atmosfera che sa di leggenda ed eroismo, probabilmente la parte del libro più bella ed evocativa... tanto da sognare che un eroe come Huma esista davvero.




giovedì 8 settembre 2011

e-Book gratuiti: La saga "Storia di Geshwa Olers" di Fabrizio Valenza

E' la prima volta che tratto gli e-Book qui sul blog, eppure è da un po' che ho cominciato a sfruttare intensamente il mio e-Book reader ("Cool-er", qui accanto) e, complice la libreria esageratamente fornita, ultimamente mi sto orientando verso questo formato, facendo propaganda tra gli amici osannandone la praticità, il peso-piuma, e altre caratteristiche (caratteri che si possono ingrandire, illuminazione soft - non abbagliante come lo schermo del pc), tanto che penso possa addirittura rinnovare il piacere di leggere.
Cosa più importante, visto il periodo di crisi economica e la legge Levi sulle limitazioni dello sconto sui libri, sul web si trovano e-Book gratuiti; non si tratta di pirateria, ma di libri la cui distribuzione è free, dove scaricarli è del tutto legale. Ad esempio fanno parte di questa categoria i grandi classici, ma se teniamo gli occhi aperti possiamo trovare anche opere più nuove, spesso messe a disposizione dagli autori stessi.

E' il caso di Fabrizio Valenza con la saga "Storia di Geshwa Olers".
Di questo autore avevo già apprezzato il racconto "Fondamenta d'incubo" contenuto nella raccolta "Storie di draghi, demoni e condottieri" (Edizioni Domino), ma "Storia di Geshwa Olers" è addirittura una serie di sette libri, di cui i primi, "Il viaggio nel Masso Verde" e "La faida dei Logontras" sono stati pubblicati tra il 2008 e il 2010, rispettivamente da Età dell'Acquario e Edizioni Domino
La saga ha un'impronta fantasy, precisamente, fantasy mediterranea, e già solo per questo coglierò l'occasione: adoro le fantastiche vicende ambientate nel nostro continente, soprattutto quando, come in questo caso, si ripercorrono le leggende nostrane, così poco conosciute, ma forse proprio per questo, intriganti e affascinanti, probabilmente anche più inquietanti! Nel sito della saga, comunque, Fabrizio spiega come questa sua creatura si discosti dal fantasy classico, anche per via della presenza dell'elemento cristiano, e di una struttura narrativa insolita, poiché i romanzi si compongono delle testimonianze scritte da diversi autori immaginari, in una sorta di collage di scritti di vario genere. Proprio per queste particolarità, che non trovano spazio nel mercato italiano (d'oh! Che tristezza...), l'autore ha deciso di rendere la saga disponibile gratuitamente; ulteriori motivazioni sulla scelta sono elencate nel sito ufficiale della saga
I libri saranno aggiunti di volta in volta, preventivamente sottoposti a editing per garantire comunque la qualità del "prodotto" (a tal proposito possiamo aiutare l'autore facendo piccole donazioni qui); da parte mia aggiornerò questa pagina man mano che si aggiungeranno i vari volumi, in attesa di recensirli, ovviamente.

Ecco l'elenco dei titoli disponibili con il link dove scaricarli:






Aiutiamo il Made in Italy anche quando si tratta di libri! 


lunedì 5 settembre 2011

Recensione "L'uomo dal Campanello d'Oro" di Lavinia Scolari

Recensione "L'uomo dal Campanello d'Oro" di Lavinia Scolari (0111 Edizioni)







Fantasy e miti greci



Ciò che risalta subito di questo romanzo è il consistente numero di personaggi.
Il primo capitolo lo si potrebbe considerare un Prologo visto che introduce la storia di tre ragazzi, Circe, Edoardo e Clelia, la cui presenza aleggia nel corso dell'intera storia, ma che per gran parte del romanzo cede spazio a i veri protagonisti, ossia Cassandra, Leandro, Cloe e Verdiana. I quattro s'incontrano per la prima volta (s'incrociano, è proprio il caso di dirlo) dinanzi a un quadrivio: in una via c'è la dolce Cassandra, in un'altra la temeraria Verdiana, nell'altra ancora i fratelli Leandro e Cloe, mentre la quarta è percorsa da un misterioso giovane di nome Nereo. Egli possiede un carisma tale da convincere i ragazzi a seguirlo nella sua casa/castello senza troppe cerimonie (da parte sua) né dubbi (negli altri), tranne che per la timorosa Cloe che ha un brutto presentimento, ma è costretta a fare altrettanto per non abbandonare il fratello, anch'egli affascinato da Nereo. Nel castello, durante la notte, ogni singolo ragazzo prova l'ingiustificato bisogno d'incontrarsi col padrone di casa, e così accade: Nereo li incontra uno alla volta, e spinge ognuno a guardare una rovere e il raggrinzito volto dell'uomo intagliato nella sua superficie; quello è il vero volto di Nereo, un vecchio intrappolato nella rovere. Egli ha bisogno delle caratteristiche di ognuno dei quattro giovani per tornare uomo, anche se ciò comporta che vengano rinchiusi loro, nella rovere, ma fortunatamente si salvano grazie all'intervento di colui che è chiamato "l'uomo dal campanello d'oro".
Otto anni dopo i quattro ragazzi si riuniscono per discutere di ciò che accade quel giorno e risolvere il mistero dell'uomo dal campanello d'oro, ancora inconsapevoli che così scopriranno anche la verità su loro stessi...
Questa storia ricca di fantasia si lega ai miti delle leggende greche, dove i protagonisti, comuni ragazzi dei nostri giorni, non sono altro che il Riflesso dei Primi Nati (i miti, appunto) che si ritrovano a vivere come in una sorta di reincarnazione, in questo caso attribuibile al Tempo, o a chi per lui; là dove si decidono le vite mortali, infatti, c'è lo zampino di un impostore che vuole risvegliare l'antico spirito dei Nuovi Nati (i quattro protagonisti), non perché sia interessato alle loro vite, quanto piuttosto alla preziosa Lacrima che lasciano a seguito del Risveglio. Non rivelerò quale sia lo scopo finale di tutto questo, ho già anticipato abbastanza se consideriamo che le informazioni qui esposte sono rivelate col contagocce nel corso della storia, quindi stop! Ciò che muove la lettura di questo romanzo è proprio la curiosità e il relativo desiderio di scoprire ogni verità.
Per risalire a essa, il lettore deve destreggiarsi e concentrarsi un po' di più rispetto a un'opera qualsiasi. L'autrice, infatti, sperimenta una diversa struttura del romanzo, poiché lo suddivide in brevi testi che riportano le voci di ciascun personaggio, quindi il personale punto di vista di ognuno. All'inizio è un po' difficile entrare nell'ottica, ma ci si abitua anche relativamente presto, appena entrano in gioco i quattro protagonisti e la storia comincia a delinearsi con precisione.
Penso che questa particolare struttura sia un pregio del romanzo, non solo alla luce delle rivelazioni finali (bellissima idea!), ma perché è qui che si mostrano al meglio le capacità narrative dell'autrice: la cura nei dettagli è da applausi, perché "punto di vista" significa anche vedere in modo diverso le stesse cose, in base alla propria cultura e personalità. Ad esempio, nella scena della donna che piange sulla roccia, Verdiana riconosce il suo abbigliamento come un plepio, mentre Cloe lo definisce semplicemente "drappo bianco". Emerge così anche come siano curati i protagonisti, ognuno con il suo distinto carattere, ma devo ammettere che per i personaggi secondari la caratterizzazione si fa approssimativa, forse anche perché hanno meno voce in capitolo (anche letteralmente!).
Da un certo punto in poi, il testo si compone di vari dialoghi che ricordano lo stile della sceneggiatura: questa forma non mi è piaciuta, anche se capisco che derivi dalla scelta di distaccare il dialogo dalle voci narranti poiché avviene in un luogo estraneo ai protagonisti e tra personaggi a loro ancora sconosciuti, ma in compenso mi è piaciuto l'uso di un linguaggio che sa di antico (più evidente in Morfeo e Fàntaso), oltre al fatto che è proprio in quell'occasione che comincia a svelarsi qualcosa di più in merito alla faccenda.
A proposito del linguaggio, questo romanzo mi ha colpito anche in termini di scrittura: un linguaggio ricercato che sa essere comunque facilmente comprensibile.
Ho invece trovato macchinosa la suddivisione del romanzo in tante parti a loro volta suddivise in capitoli, dove i capitoli hanno titolo e sottotitolo; eppure è una bella idea quella di basarli sui rintocchi del campanello.
Altro aspetto degno di nota, la fantastica (in entrambi i sensi) combinazione di oggetti quali il libro, la piuma e la tela; poetica la pioggia sul dipinto.
Il finale è toccante ed emozionante perché tra le righe emerge una storia di solida amicizia, ma specialmente grazie a quell'ultima incisiva risposta di Cassandra (protagonista che acquista spessore, e la mia preferenza, proprio a seguito della svolta) la storia diventa indimenticabile. Complimenti all'autrice!



giovedì 1 settembre 2011

Recensione "The Legend of Zelda: Majora's Mask" delle Akira Himekawa

Recensione "The Legend of Zelda - Majora's Mask" delle Akira Himekawa (J-pop)








Dietro la maschera, la solitudine.


"The Legend of Zelda: Majora's Mask" è il seguito diretto di "The Legend of Zelda: Ocarina of Time". Se nel videogioco lo s'intuiva, nel manga il riferimento è esplicito, accentuato dall'inedita vicenda iniziale che ci presenta Link come un bambino capace nell'arte della spada al punto d'essere convocato per insegnare le tecniche ad altri condottieri (adulti), ma come molti già sapranno, più che enfant prodige la sua abilità deriva dall'esperienza di "Ocarina Of Time", dove ha salvato il mondo di Hyrule e sconfitto il malvagio Ganondorf viaggiando nel tempo avanti e indietro di sette anni, da bambino a adulto, e viceversa; è un Link adulto nel corpo di un bambino, quello di Majora's Mask, che si lamenta perché non viene preso sul serio, sminuito a causa del suo aspetto fisico. Questa vicenda è solo un accenno a quella tematica che aleggerà per tutto il manga, facilmente riconducibile al detto "l'abito non fa il monaco", e considerando che al centro della storia ci sono delle maschere che indossandole è come assumere un'altra identità, il discorso si fa complesso.
Ma torniamo alla trama.

Prima di questa scena, il manga mostra (in anticipo rispetto al videogioco) l'Allegro Venditore di Maschere ("Happy Mask Seller") che nella foresta incontra il piccolo demone Skull Kid: l'Allegro Venditore gli illustra la Maschera di Majora, una maschera capace di realizzare qualsiasi desiderio, ma poi si rifiuta di venderla dicendogli che è una maschera proibita, dal passato oscuro e terrificante perché appartenuta a un'essere estremamente malvagio. Lo Skull Kid è un demone innocuo ma di natura dispettosa, quindi non esita a rubare la potente maschera all'Allegro Venditore, tuttavia, i suoi desideri si tradurranno in maniera drastica, perché una volta indossata la Maschera di Majora, questa plagerà il suo spirito, portandolo a desiderare la morte di tutti e la distruzione del mondo di Termina.

Termina? Esatto, questa volta Link non dovrà salvare Hyrule, ma un mondo parallelo, tra l'altro popolato dagli stessi abitanti di Hyrule che qui hanno vita e nomi diversi (pertanto non lo riconosceranno).
Link finisce a Termina perché dopo aver fatto da maestro d'armi ai condottieri, desidera partire alla ricerca di un'amica che non ha più visto dai tempi di "Ocarina of Time": la fatina Navi. In sella alla fidata Epona, percorre la foresta quando improvvisamente s'imbatte nello Skull Kid (che indossa la Maschera di Majora) e le sue due fatine Tatl e Tael (rispettivamente, sorella e fratello); lo Skull Kid lo assale, gli ruba la preziosa Ocarina del Tempo, e scappa in sella a Epona. Lanciandosi nell'inseguimento, Link giunge in una radura paludosa e affronta lo Skull Kid, il quale però gli lancia una maledizione che lo trasforma in un piccolo Deku Scrub. Fuggendo, Skull Kid lascia indietro la fata Tatl che desiderosa di rivedere il fratellino accompagna
 Link fino in città, dove in cima alla torre dell'orologio lo Skull Kid sta ordinando a una grossa luna, grottesca e inquietante, di cadere su Termina, e così accade. La scena si ripete tre volte consecutive in maniera identica, con Link che s'interroga su cosa stia succedendo, poi capisce, la chiave è il tempo: recupera l'Ocarina del Tempo e suona la melodia insegnatagli da Zelda in "Ocarina of Time", la Canzone del Tempo, ritornando così a tre giorni prima che la luna cadesse; comincia una nuova avventura per l'Eroe del Tempo!

Solo tre giorni per salvare Termina, solo tre giorni per trovare i quattro giganti del mondo (palude, deserto, mare, montagna) e invocarli per chiedere aiuto; "The Legend of Zelda: Majora's Mask" è lo Zelda più adrenalinico, oltre che il più tetro. Ricordo ancora l'ansia che mi prendeva quando durante lo scontro col boss del primo dungeon ero ormai al terzo giorno e la terra tremava, mentre l'orologio nella parte bassa dello schermo scandiva i minuti restanti; se non si riesce a portare a termine la missione, con lo scadere del terzo giorno si è costretti a suonare la Canzone del Tempo e ripartire dal primo giorno, quindi d'accapo, senza alcun progresso! Si può tirare un sospiro si sollievo solo quando si finisce il dungeon, si recupera la maschera che era del boss, e soprattutto si libera uno dei giganti, perché quello è un risvolto che trascende il tempo. Ecco, questa sensazione tesa non è affatto presente nel manga, nemmeno l'adrenalina, visto che il tutto si svolge in un'unica soluzione senza che Link suoni la Canzone del Tempo e, ancor peggio, senza che siano scanditi giorni né ore (cosa che nel videogioco accadeva di frequente, oltre all'orologio costantemente visibile, ogni dodici ore con la panoramica della città e un cupo "gong").

Trattandosi di un volume unico, nel manga sono stati tagliati i dungeon e appaiono solamente i boss nell'area specifica senza che ci siano stanze, enigmi e tutto il resto.
Un po' deludente il modo sbrigativo con cui Link batte i vari boss, addirittura senza nemmeno utilizzare le tecniche proprie delle creature che impersona grazie alle maschere. Come nel gioco, infatti, Link assumerà le identità di tre personaggi chiave: un Deku Scrub senza nome, il Goron Darmani, e lo Zora Mikau. Si tratta di tre individui deceduti che hanno un conto in sospeso con le forze del male (ad esempio il Goron che morì prima che potesse sconfiggere il boss della montagna) e che Link incontra, tranne nel caso del Deku Scrub, in forma di spiriti, che una volta placati lasciano la propria maschera, quindi la propria identità, nelle mani di Link. Dalla mia esperienza di gioco ricordo la vicenda del musicista Zora Mikau come la più intensa, per il fatto della band che lascia, dell'uovo rubato che racchiude la voce della cantante, dell'isola che in realtà è il guscio di una saggia tartaruga, ecco, purtroppo il manga si fa più frammentario proprio in questo episodio: chi non ha mai giocato a "Majora's Mask" potrebbe non capire molto di ciò che accade. In compenso (che non compensa, in realtà) si riserva una vignetta che esprime la battuta, davanti alla tomba del giovane Mikau, "qui giace un Guitar Hero"; della serie, ogni riferimento NON è puramente casuale.

Inutile dire che i tagli riguardano anche le numerose maschere (scomparse ognuna assieme alla propria funzione) e gli altrettanto numerosi personaggi secondari (scoparsi ognuno assieme alle proprie vicende personali), però, da subito appare Anju, la promessa sposa di Kafei, e devo dire che è cosa buona e giusta, visto che anche nel videogioco questa vicenda è una delle più importanti nonché una delle più difficili da risolvere. Kafei, infatti, si nasconde indossando una maschera perché è stato maledetto dallo Skull Kid che lo ha trasformato in un bambino; il compito di Link è di ricongiungere i due innamorati, che nel frattempo si scambiano lettere senza mai vedersi, e di conseguenza Anju non capisce il perché di tanta improvvisa vergogna. Se il giocatore riesce nell'impresa, il finale del gioco mostrerà delle scene che fanno un baffo a questo manga, nonostante dell'opera cartacea abbia apprezzato la frase di Tatl: "L'aspetto non conta! Anju non poteva attendere un secondo di più l'uomo che ama!", confermando così la presenza del tema che accennavo a inizio recensione.

Fortunatamente, tutte le maschere che le Akira Himekawa hanno sacrificato sono servite a dare spazio alla mitica, ineguagliabile, affascinante (insomma, la mia preferita), Fierce Deity! Tradotta nel manga come: Maschera della Divinità Selvaggia. Adoro questa trasformazione, con un Link che diventa adulto e veste un'armatura possente e coloratissima, oltre che a impugnare una meravigliosa spada a doppia lama. Questa maschera è considerata un'extra nel gioco, che può essere utilizzata soltanto durante lo scontro finale (dopo averla ottenuta sudando) e permette di battere le varie mutazioni della maschera di Majora con una facilità sorprendente. Appena ho finito di leggere questo manga mi sono messa a giocare, tornando all'ultimo salvataggio, solo per potere usare questa maschera e vederla nuovamente in azione!

E visto che sono tornata a giocarci un po', ho trovato altre differenze, in particolare il fatto che nel manga l'Allegro Venditore di Maschere vuole riappropriarsi della Maschera di Majora per loschi scopi, il che a pensarci bene non ha senso visto che era nelle sue mani fin dall'inizio, infatti nel videogioco egli si congeda da Link ringraziandolo per averla distrutta e gli sorride sereno; nessun accenno di malignità (a parte lo sguardo inquietante, ma quello è per rimarcare lo stile di "Majora's Mask").
Altra differenza, nel manga i quattro giganti alla fine si ricongiungono con lo Skull Kid coccolandolo e salutandolo allegramente, affermando che loro non si erano dimenticati di lui perché lo considerano un amico; nel videogioco, i quattro giganti compiono il loro dovere e poi se ne vanno ognuno verso la propria parte del mondo lasciando lo Skull Kid nuovamente solo, intonando una malinconica melodia che pur non accennando all'amicizia, porta con sé la consapevolezza, a detta di Tatl, che nonostante la distanza e il loro solenne compito, i giganti non si sono mai dimenticati del piccolo Skull Kid e del loro tempo passato insieme a lui. L'atteggiamento diverso dei quattro giganti non sarà di per sé una grossa differenza, ma trovo questo dettaglio più poetico, specie per una storia che parla di solitudine, quella dello Skull Kid, che pur avendo infine trovato un amico in Link rimarrà di nuovo solo, visto che Link proviene da un altro mondo (e alla fine del gioco si sente l'Ocarina che intona la Canzone del Tempo: che sia Link che vuole tornare indietro dallo Skull Kid? Altro dettaglio degno del soprannome "Grande N"!)

Per finire, il manga ci delizia con un episodio extra che le Akira Himekawa dichiarano d'aver elaborato ai tempi dell'uscita del videogioco, ma ispirate solamente da alcuni filmati: penso che sia un'ottimo prequel di quel che potrebbe essere l'origine della Maschera di Majora, senza considerare la bellezza dei disegni e l'ottima realizzazione tecnica (il che vale per tutta l'opera).

La mia valutazione in termini di stelle potrebbe sembrare contraddittoria rispetto ad alcune precisazioni che ho scritto, ma in fondo ciò che ho criticato maggiormente sono i tagli, cosa che in effetti era inevitabile viste le poche pagine a disposizione. Con un titolo del genere la cosa migliore è giocarci, quindi a meno che non siate dei fan di Zelda, preferite l'originale del Nintendo64 disponibile anche nella Virtual Console del Wii... sempre che non facciano davvero un remake su 3DS com'è avvenuto con "Ocarina of Time": magari!


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